29/05/12

Signora Maestra

Domenica sera ho condiviso con una trentina di temerari uno spericolato esperimento sentimentale: il raduno dei compagni di classe delle elementari. Erano quarant’anni e centomila capelli che non ci si vedeva e per farsi riconoscere ciascuno si era pinzato sul petto una targhetta con nome, cognome e una propria foto di allora. E' stata una delle serate meno nostalgiche della mia vita: il passato da rammentare era così remoto che sembrava futuro. Si è parlato tantissimo di progetti e speranze, pochissimo di calcio, niente di politica. Ma si è parlato soprattutto della, e con la, Maestra. Era per i suoi 88 anni appena compiuti che avevamo apparecchiato lo spettacolo, salvo accorgerci in fretta che lo spettacolo era lei. Buona ma non debole, la schiena ancora dritta come i suoi pensieri. La Maestra. Quella che ci aveva insegnato a leggere con i libri di Primo Levi e di Rigoni Stern. Anche l'altra sera ha ascoltato con attenzione il primo e l'ultimo della classe declamare "bosco degli urogalli" e poi ha dato loro il voto: basso e però giusto, come sempre. Si aggirava fra i suoi scolari attempati distribuendo carezze ruvide e rimproveri dolci. Nel guardarla pensavo all'esercito silenzioso di cui quella donnina formidabile fa parte: le maestre elementari della scuola pubblica italiana che hanno tirato su una nazione con stipendi da fame, ma meritandosi qualcosa che molti potenti non avranno mai. Il nostro rispetto.

Prima di andare a dormire ci ha detto che averci avuti come alunni era stato, per lei, come riceverci in dono. Poi ci ha baciati sulla fronte, uno a uno. Sono rientrato a casa con addosso l'energia di un leone.

(Massimo Gramellini)

27/05/12

I corvi nel grano


Un sonetto del 1834, Li comprimenti, in cui 
Giuseppe Gioacchino Belli aveva già raccontato tutto


     Fuss’io, me saperebbe tanto duro
de fà li comprimenti che ssentissimo 
 tra er Maggiordomo e ll’Uditor Zantissimo
che gguasi sce daría la testa ar muro.
             
     «Entri, se servi; favorischi puro, 
 come sta?... ggrazzie: e llei? obbrigatissimo,
a li commanni sui, serv’umilissimo,
nun z’incommodi, ggià, ccerto, sicuro...».
             
     Ciarle de moda: pulizzie de Corte:
smorfie de furbi: sscene de Palazzo:
carezze e amore de chi ss’odia a mmorte.
             
     Perché cco Ddio, che, o nnero, o ppavonazzo,
o rrosso, o bbianco, j’è ttutt’una sorte,
sti comprimenti nun ze fanno un cazzo?



Khaled Khalifa, il regime siriano spezza 
una mano allo scrittore

Tirato per i capelli, picchiato violentemente e sequestrato dagli uomini della sicurezza siriana, mentre partecipava al funerale di Rabi‘ Ghazzi. E’ Khaled Khalifa, scrittore, amico, siriano e umano. Glielo avevano promesso e prima o poi sarebbe accaduto.
Khaled Khalifa, famoso per il suo libro Elogio dell’odio (edizioni Bombiani), l’ho conosciuto nel giugno dell’anno scorso , ospite con me al programma di Gad Lerner “L’Infedele”. Ricordo ancora l’istante in cui lo vidi arrivare dietro le quinte e sorridermi. Era sudato, indossava delle ciabatte e il suo aspetto paffuto mi aveva fatto stringere amicizia con lui ancor prima che ci salutassimo. Khaled quella indimenticabile sera, riuscì a incantare tutti con il suo coraggio.
Sapeva che gli uomini del regime lo avrebbero ascoltato, mentre parlava del genocidio, come l’ha sempre chiamato lui, che accadeva in Siria. In molti quella sera gli chiesero “perchè torni in Siria?” e lui rispose “perchè devo stare con il mio popolo”. Qualcuno disse che nel mondo arabo non esistono scrittori non impegnati politicamente. Khaled Khalifa nè è la prova.
Mesi dopo Khaled mi mandò un messaggio dicendomi che, se le autorità siriane glielo avessero permesso, sarebbe venuto a Roma a tenere una conferenza e ci saremmo reincontrati. Ieri, uomini che vogliono umiliare un intero popolo, hanno rotto una mano a Khaled, a simboleggiare il volere che lui non scriva più. In un intervista telefonica, nelle ore successive in cui è stato liberato, scaraventato fuori da una macchina, Khaled ha detto “con una mano mi sarà difficile battere a macchina”.
Il mio augurio, caro amico, è di poter leggere altri, tanti, tuoi libri. (Shady Hamadi)

Telefono Merkel...


26/05/12

Quirinalesque




Berlusconi presidente della Repubblica. Se si avverasse tale funesta ipotesi, non meno catastrofica della profezia dei Maya, cosa sarebbe dell’Italia? Ma via, è fantapolitica, roba da visionari, commenterà qualcuno: Berlusconi è bollito, il Pdl al minimo storico, persi i ballottaggi, sondaggi in picchiata, un partito alla ricerca di un nuovo nome e di una nuova identità. L’ex alleato, la Lega, in coma irreversibile, disintegrata nei ballottaggi e dagli scandali familiari che ipotizza di uscire dal Parlamento…
Berlusconi al Colle è una eventualità su cui oggi nemmeno il più scriteriato dei bookmakers scommetterebbe. In realtà nessuno ci avrebbe scommesso neanche alla vigilia della sua discesa in campo nel 1994. La realtà però ha superato la più delirante delle fantasie. Berlusconi è rimasto al governo del Paese per quasi un ventennio, si è rialzato quando (quasi) tutti lo consideravano fuori gioco. Ha scatenato il suo impero mediatico e commerciale. Ha tessuto nuove alleanze, comprandosi voti e consensi: 316 parlamentari hanno dichiarato perfino con un voto in aula che Ruby era la nipote di Mubarak…

Ieri l’ex premier è tornato a far parlare di sé con la sua proposta di presidenzialismo alla francese e non ha scartato l’eventualità di una sua candidatura al Quirinale. Sarà il caso di non prenderlo sotto gamba.
Sarà soprattutto il caso di invocare quella benedetta legge sul conflitto di interessi su cui lo stesso centro sinistra ha sempre, colpevolmente sorvolato.
Per non ritrovarci con un Quirinale trasformato in un teatrino del burlesque frequentato da escort travestite da corrazzieri. (Stefano Corradino)

25/05/12



Il casto Silvio / Massimo Gramellini


Per una curiosa coincidenza della cronaca (non scomoderei la Storia), mentre la ballerina Polanco raccontava in un'aula di giustizia di quando nel bungabunker di Arcore si infilava parrucca e occhiali per imitare Ilda Boccassini, il beneficiario dello spettacolo mostrava a una platea di giornalisti attoniti l'ultima e più improbabile metamorfosi della sua vita: Silvio lo Statista. Fuori tempo massimo. Anzi, fuori tempo e basta. Dal ritorno in scena del campione dell'antipolitica ci saremmo aspettati di tutto: la fusione con Grillo (Canale 5 Stelle) o la fondazione di un altro partito dal predellino dell'auto (considerati i voti rimasti, bastava una Smart), ma stavolta tenendo in braccio la Polanco travestita da Boccassini. Di tutto tranne che vederlo spuntare dietro un bancone del Senato, trasfigurato nel simbolo vivente della Casta e intento a discettare di semipresidenzialismo alla francese.

Non che non sia importante, il semipresidenzialismo alla francese. Ed è chiaro che la signora Crescita è disposta a varcare la nostra soglia (travestita da Boccassini?) solo se ad aprirle la porta troverà un semipresidente alla francese. Lo capirebbe persino Cicchitto, che infatti si aggirava nei paraggi con aria compiaciuta. Però siamo sicuri che lo zoccolo duro dell'elettorato, quello che al nord teme di perdere il lavoro e al sud i sussidi, sia in grado di cogliere la portata rivoluzionaria della proposta? Un milione di posti, meno tasse per tutti, chi non salta comunista è: quelle erano balle di successo. Ma il semipresidenzialismo alla francese rischia di non eccitare nessuno: non solo la Boccassini, ma nemmeno la Polanco.

Scendo o non scendo...


23/05/12

20


Non chiamiamoli grillini



Grillo, grillismo, grillini. Noto in me, e immagino in molti miei colleghi, la difficoltà ad abbandonare le logiche della politica personalistica che ha furoreggiato negli ultimi decenni, quando tutto sembrava ridursi allo scontro fra alcune personalità salvifiche: Berlusconi, Bossi, Di Pietro, il segretario di turno del centrosinistra. Il leader riempiva con il suo ego le pagine dei giornali e le poltroncine dei talk show. Gli altri membri del partito scadevano al rango di cortigiani, caratterizzandosi solo per la capacità di imitare in peggio i difetti del capo. Costui era anche il detentore della cassa e il compilatore delle liste, quindi il padrone delle loro carriere. Gli elettori gli si affidavano passivamente e il nome del leader sulla scheda rappresentava plasticamente la resa della Democrazia alla Signoria: la scelta non era più sulle idee ma sulle facce, forse perché alle idee era più difficile mettere il fondotinta.

L’epoca delle rockstar politiche, per fortuna, è finita. Lo si era già visto nelle rivolte delle piazze arabe e degli indignados, quando con grande dispetto di noi cronisti non saltò mai fuori il nome di un capopopolo a cui appendere il titolo del giornale. Cinque Stelle non è il partito di Grillo, ma un movimento in franchising, senza rapporti di dipendenza gerarchica (ed economica) fra il guru e la base. Il neosindaco di Parma ha potuto smarcarsi da Grillo fin dalla prima intervista. Lo avessero fatto un leghista o un berlusconiano, sarebbero stati scomunicati. Adesso tutti dovranno imitare quel modello: l’Italia chiede facce nuove, ma stavolta le preferirebbe anonime. (Massimo Gramellini)

21/05/12



La Parma a 5 stelle / Marco Bracconi

 Il candidato  Cinque Stelle ha vinto. E’ sindaco di Parma. E a Pizzarotti vanno i migliori auguri di buon lavoro. Chiunque governa bene in un Paese generalmente sgovernato è il benvenuto.
A margine si notino due cose.
La prima è che nella città emiliana l’affluenza è calata molto meno che in altri comuni. E allora se Grillo e compagni portano più gente a votare non c’è che da rallegrarsene.
La seconda è la reazione un po’ puerile del Pd sconfitto. 
Affermare piccati che la colpa è degli elettori del centrodestra che sono andati a votare Pizzarotti è indicare il dito mentre cambia la luna. Ed è smentire la filosofia del doppio turno elettorale tanto cara proprio ai democratici.
Al ballottaggio saltano schemi, le appartenenze e le ideologie. E se si vuole la bicicletta, poi bisogna pedalare.

19/05/12



Brindisi per noi / Federico Mello


Siete mai stati da quelle parti? In fondo all’Italia, là dove finisce la terra, nel Salento orientale che non arriva mai nei tg nazionali, non fa mai capolino sui giornali, non dà appuntamento ai vacanzieri per l’aperitivo all’ultimo grido?
Questi posti hanno una caratteristica fondamentali dettata dalla geografia. Sono lontani dalla Lombardia industriale, dal Veneto che intraprende, dall’Europa degli scambi: prendere un treno vuol dire sempre viaggiare, mettersi il cuore in pace e impiegare ore per attraversare lo stivale.
Qualche anno fa ero anche io un ragazzo di giù, uno di loro. In quelle città e in quei paesi, spesso, non ci sono offerte culturali, circoli ricreativi: senza macchina non si arriva neanche alle dance hall estive più a sud, verso Torre dell’Orso e i laghi Alimini.
A sedici anni, a Brindisi, a San Pietro Vernotico, a Mesagne c’è la piazza del Paese al massimo, dove incontrarsi; quando va bene l’Oratorio per giocare a pallavolo sotto un sole che spacca le pietre. Tutto intorno, appena si esce dal Paese, gli ulivi a perdita d’occhio da attraversare in motorino per andare a mare.
Per la scuola, ci sono le corriere, come quelle che prendevano Melissa, morta stamattina a 16 anni, e la sua amica Veronica, che lotta per sopravvivere. Figli, famiglie e persone normali, nate e cresciute dove la natura è ancora protagonista, la politica lontana, le economie scarse: il lavoro quando va bene è nei call center che crescono come funghi, o al centro commerciale, nei campi o sui cantieri.
Eppure a Brindisi le ragazze e i ragazzi – come tutti i ragazzi – sognano. Un futuro migliore, un posto nel mondo, una prospettiva. Magari in una scuola superiore dove si studia moda, un mondo fatato di passerelle, stoffe, forbici: una strada per esprimere se stessi, per inventarsi il futuro.
Quelle bombe sono esplose in mezzo a tutto questo. In un’Italia di provincia dove tutto scorre senza scossoni, rassicurante, bellissimo e spesso immobile. Questo lascia ancora più attoniti. Perché colpire i sogni di quei ragazzi? Perché instillare il terrore nelle mille Italie di provincia che sono la dorsale della nostra identità? Forse, per dire a tutti che nessuno può stare tranquillo a casa sua, sotto il proprio campanile. Che ciascuno, ovunque, rischia di essere travolto dalla follia.
Davanti al più vile dei terrorismi, di bello c’è solo chi si è messo in treno, in macchina, e parte o sta partendo per andare a Brindisi: una città dove forse non avrebbe mai pensato di finire se non per prendere il traghetto per la Grecia. Solo questo si può fare. Andare lì, come nelle piazze delle nostre città, e dire: noi ci siano, non siete soli, non permetteremo più alla follia di vincere. Brindisi per noi, in queste ore, è l’Italia intera.

18/05/12

Paghetta


Secondo i magistrati, i soldi del finanziamento pubblico - cioè i soldi dei contribuenti italiani - sarebbero stati impiegati dalla Lega Nord in un’attività socialmente utile. Dare la paghetta ai figli di Umberto Bossi. La paghetta, che ricordi! Il mio nonno romagnolo mi regalava tutti i mesi una monetona da 500 lire. Certo, da allora l’inflazione deve aver corso parecchio, perché i figli di Bossi prendevano 5mila euro al mese. Poveri figli. Pensate all’infanzia che hanno avuto. Tutti gli altri bambini giocavano col pupazzo di Shrek e loro con Calderoli. Tutti gli altri bambini studiavano il fiume Po, loro se lo dovevano bere.

Agli altri bambini i parenti dicevano: “Studia, così da grande diventi come papà”. A loro, invece dicevano: “Non studiare, così da grande diventi come papà.” I soldi della paghetta li mettevano nel classico salvadanaio a forma di maiale regalato da Calderoli: il Porcellinum.

I Paghetta Boys. Renzo, detto Trota, e Riccardo detto Salmone perché guida spesso contromano, a giudicare da quanto ci è costato di multe ecarrozzeria. Uno sproposito. Nella cassaforte romana del tesoriere Belsito hanno trovato un componimento autografo del Bossi Riccardo che recita così: “Ti elenco i pagamenti a cui devo far fronte entro fine mese: noleggio Clio 981 euro, saldo multe arrivate finora 1857, lavori di carrozzeria 3900, rate leasing dell’assicurazione 2589… e poi un vecchio problema a base blu.”

Un vecchio problema a base blu! Su questa frase gli storici sono al lavoro da giorni. Alludeva forse al Viagra? Il figlio di celoduro che ha bisogno del viagra! E’ la vendetta della storia. Ah, ma Riccardo Bossi ha smentito.Base Blu sarebbe il nome di un negozio di “fashion luxury retail”. Credo voglia dire: vendita al dettaglio di abbigliamento per gonzi. Il figlio della Padania si veste Fashion Luxury Retail. Tre parole da buttare subito. Con Padania fanno quattro. Ma torniamo alla paghetta. Sono andato a leggermi la definizione del Devoto Oli. “Paghetta. Sostantivo femminile. Definisce una retribuzione scarsa, modesta.” Non per smentire il Devoto Oli, ma quella non è la paghetta. E’ lapensione. Vado avanti: “Nel linguaggio familiare indica una piccola somma attribuita periodicamente dai genitori ai figli adolescenti per le loro spese”. Piccola somma cinquemila euro al mese? Pare che il Trota per portarsiavanti se la sia già fatta convertire in dracme. Cinquemila euro di paghetta. Pensate che un liceale italiano riceve in media dalla famiglia quaranta euro. E di solito il liceo riesce anche a finirlo, senza dover ripetere quattro volte la maturità come il Trota.

Cinquemila euro di paghetta. Mi sono informato. La figlia di Tom Cruise ne prende quattromila. Il Trota prende più paghetta della figlia di Tom Cruise. Che poi la figlia di Tom Cruise ha 4 anni. Il Trota 24 e suo fratello 33. Ma fino a che età prendono la paghetta? Gli metteranno ancora anche la merendina nello zaino? Purtroppo la differenza più seria è che alla figlia di Tom Cruise la paghetta la paga Tom Cruise. Al Trota, finora, l’abbiamo pagata noi. (Massimo Gramellini)

Il fisco bestiale / Marco Bracconi

Una tassa su cani e gatti per finanziare interventi contro il randagismo. Il fine è nobile, il problema è il mezzo.
Perché una consistente parte degli italiani – a torto o a ragione – soffia e abbaia contro Equitalia e Agenzie delle Entrate. E una parte di questa parte, davanti ad un balzello sui propri animali domestici, finirà per approfittare dell’esodo estivo per mollarli su qualche ciglio di autostrada. E chi pagherà regolarmente la tassa, a sua volta, finirà per finanziare non solo i randagi che c’erano ma anche i nuovi randagi che verranno.
In filosofia si chiama eterogenesi dei fini. In politica, semplicemente, mancanza di realismo.

16/05/12



Tengo famiglia

Grande vittoria del federalismo
poiché i quattrin sborsati dalla gente,
con solidal padano automatismo,
vengono usati térritorialmente.
Il territorio è la famiglia Bossi
che, saccheggiando i fondi del partito,
ha laureato due cervelli grossi
e la scuola Bosina partorito.
Ma non si vive solo di cultura,
pur la salute è un ben proprio primario
che vuol di Sirio la nasale cura
e un buon dentista per il segretario.
Pensato alla salute ed al mestiere,
il castello va poi ristrutturato
ed al giardino dato un giardiniere
perché il boss, per il bene dello Stato,
in relax possa usare il suo cervello.
Poi ci sono gli affetti famigliari:
la moglie ha fatto il gesto dell’ombrello
al povero Riccardo che i denari
vorrebbe per pagarle gli alimenti.
No problem, c’è la Lega che provvede.
E poi c’è il Trota: par che si lamenti
d’essere al verde e una paghetta chiede.
Gli euro dodicimila ad ogni mese
che gli passa il consiglio regionale
non possono bastar: troppe le spese
per un padan con gran fuoco ormonale.
Pronto arriva un mensil da cinquemila
che per giustizia va pure a Riccardo.
Ma…senz’auto nessuna se lo fila,
per quanto il Trota sia in amor gagliardo.
Arriva l’auto…, ci vuole la benzina,
kilometri e kilometri di viaggio,
la discoteca non è, ahimé, vicina
se a Bratislava vai per l’abbordaggio.
Poi, sai com’è, arriva qualche multa
ed ovviamente il Trota se ne sbatte.
Paga la Lega ed il padan sussulta:
Perché non far come le quote latte?
E’ tutto sistemato finalmente,
ma al dito medio c’è da provvedere:
non c’è problema alcun, federalmente
va a finir dei padani nel sedere.
Tutto questo di Bossi all’insaputa
poiché, come si sa, ha dei problemi
da quando quella crisi gli è venuta.
Ma ci volete prendere per scemi?
Era sano per fottere l’Italia
con le cenette d’ogni lunedì,
quando faceva al Cavalier da balia
convincendolo a dirgli sempre sì
ed è rincoglionito solo adesso,
quando al clan si prospetta la prigione?
Se il popolo padan fu così fesso,
il popolo italian non è coglione!

(Carlo Cornaglia)

10/05/12

Chi suicida chi


Ci mancava il dibattito sui suicidi: di chi è la colpa se le persone in crisi si ammazzano, di Monti o di Berlusconi? La responsabilità di quei gesti non è di nessuno. La scelta di togliersi la vita attiene a una zona insondabile del cuore umano che ha a che fare con la fragilità, il dolore, la paura: mondi troppo profondi per farne oggetto di gargarismi politici. La responsabilità della situazione sociale che fa da sfondo agli atti disperati è invece piuttosto chiara. Negli ultimi vent’anni l’Italia è stata governata - bene o male non so, ma governata - soltanto dal primo governo Prodi. Il resto è stato un susseguirsi di agguati, proclami, scandali e cialtronate. Gli altri governi di sinistra hanno pensato unicamente a farsi del male. Berlusconi ai fatti propri. La riforma liberale dello Stato, vagheggiata in centinaia di comizi, si è rivelata la più tragica delle sue bufale. Non poteva essere altrimenti, dato che gli alleati del Nord non volevano il risanamento ma la dissoluzione del Paese e quelli del Sud prendevano i voti dalla massa di mantenuti che qualsiasi riforma seria avrebbe spazzato via.

Monti si è presentato al capezzale di un paziente curato per vent’anni con flebo d’acqua fresca, facendosi largo fra mediconzoli corrotti e infermiere in tanga. Ha riportato serietà nel reparto e messo gli antibiotici nella flebo. Se avesse avuto l’umanità di un Ciampi, si sarebbe anche seduto a far due chiacchiere col malato per tirarlo su di morale. D’accordo, Monti non è Ciampi. Però non ha ucciso nessuno. L’Italia l’hanno suicidata i partiti. (Massimo Gramellini)

08/05/12


 
Crisi di nervi al Quirinale
 
Perché mai Giorgio Napolitano, in piena campagna per i ballottaggi del prossimo 20 maggio, si lascia andare a una battuta sprezzante contro Beppe Grillo, negando l’indiscutibile successo del Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali di domenica scorsa?
Come è possibile che un personaggio politico di lunghissimo corso, sempre così attento alle liturgie istituzionali, non si renda conto che al presidente della Repubblica, mentre la partita elettorale è in corso si addice un silenzio assoluto, tombale per non sentirsi dire, altrimenti, di avere comunque interferito? E che dire della immediata replica dell’altro che, giocando in punta di Costituzione, ricorda che il ruolo di garanzia del Presidente riguarda tutti ma proprio tutti i cittadini, anche quelli che l’inquilino del Colle ha sulle scatole. Talché alla fine, tra battute e moniti, non si capiva chi era il comico e chi l’uomo di Stato.Che il grillismo parlante metta Napolitano di pessimo umore si era già capito lo scorso 25 aprile, nel discorso che partiva dai valori resistenziali per difendere la democrazia dei partiti e deplorare il qualunquismo dei “nuovi demagoghi” eredi di Guglielmo Giannini. Ne seguì vivace polemica che molta acqua portò al mulino di 5 Stelle, come del resto auspicato dall’ex comico, fedele alla regola: molti nemici molti voti.
Chissà, forse il boom di Grillo ha scompigliato il sottile disegno quirinalesco della grande coalizione, pietra angolare della prossima legislatura tecnica e costituente. Di cui restano solo macerie, come ha lealmente riconosciuto Pier Ferdinando Casini con il de profundis sul centro moderato. Perché di moderati, in un paese devastato da crisi, tasse e disoccupazione, ce ne sono sempre di meno. E di crisi di nervi sempre di più. Anche Lassù. (Antonio Padellaro)

Un no ai partiti non alla politica


Si può buttarla sul ridere e dire che Grillo non è una sorpresa: in fondo sono vent’anni che gli italiani votano un comico. Oppure strillare contro la vittoria dell’antipolitica, come fanno i notabili del Palazzo e i commentatori che ne respirano la stessa aria viziata. Ma conosco parecchi nuovi elettori di Grillo e nessuno di loro disprezza la politica. Disprezzano i partiti. E credono, a torto o a ragione, in una democrazia che possa farne a meno, saltando la mediazione fra amministrati e amministratori.

La storia ci dirà se si tratta di un gigantesco abbaglio o se dalla rivolta antipartitica nasceranno nuove forme di delega, nuovi sistemi per aggregare il consenso.

Ma intanto c’è questo urlo di dolore che attraversa l’Italia, alimentato dalle scelte suicide e arroganti compiute da un’intera classe dirigente.

Non si può certo dire che non fosse stata avvertita. I cittadini stremati dalla crisi hanno chiesto per mesi alla partitocrazia di autoriformarsi. Si sarebbero accontentati di qualche gesto emblematico. Un taglio al finanziamento pubblico, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province. Soprattutto la limitazione dei mandati, unico serio antidoto alla nascita di una Casta inamovibile e lontana dalla realtà. Nel dopoguerra il grillismo meridionale dell’Uomo Qualunque venne dissolto dalla Dc di De Gasperi nel più semplice e intelligente dei modi: assorbendone alcune istanze. Purtroppo di De Gasperi in giro se ne vedono pochi. La limitazione dei mandati parlamentari è da anni il cavallo di battaglia dei grillini. Se il Pdl di Alfano l’avesse fatta propria, forse oggi esisterebbe ancora. Ma un partito che ai suoi vertici schiera reperti del Giurassico come Gasparri e Cicchitto poteva seriamente pensare di esistere ancora? Il Pd ha retto meglio, perché il suo elettorato ex comunista ha un senso forte delle istituzioni e dei corpi intermedi - partiti, sindacati - che le incarnano. Ma se il burocrate Bersani, come ha fatto ancora ieri, continuerà a considerare il grillismo un’allergia passeggera, lo tsunami dell’indignazione popolare sommergerà presto anche lui.

La riprova che il voto grillino è meno umorale di quanto si creda? Grillo non sfonda dove la politica tradizionale riesce a mostrare una faccia efficiente: a Verona con il giovane Tosi e a Palermo con il vecchio Orlando (percepito come un buon amministratore, magari non in assoluto, ma rispetto agli ultimi sindaci disastrosi). La migliore smentita alla tesi qualunquista di chi considera i grillini dei qualunquisti viene dai loro stessi «quadri». Che assomigliano assai poco a Grillo. Il primo sindaco del movimento, eletto in un paese del Vicentino, ha trentadue anni ed è un ingegnere informatico dell’Enel, non un arruffapopoli. E i candidati sindaci di Parma e Genova non provengono dai centri sociali, ma dal mondo dell’impresa e del volontariato. Più che antipolitici, postpolitici: non hanno ideologie, ma idee e in qualche caso persino ideali. Puntano sulla trasparenza amministrativa, sul web, sull’ambiente: i temi del futuro. A volte sembrano ingenui, a volte demagogici. Ma sono vivi.

Naturalmente i partiti possono infischiarsene e bollare la pratica Grillo come rivolta del popolo bue contro l’euro e le tasse. È una interpretazione di comodo che consentirà loro di rimanere immobili fino all’estinzione. Se invece decidessero di sopravvivere, dovrebbero riunirsi da domani in seduta plenaria per approvare entro l’estate una riforma seria della legge elettorale, del finanziamento pubblico e della democrazia interna, così da lasciar passare un po’ d’aria. Ma per dirla con Flaiano: poiché si trattava di una buona idea, nessuno la prese in considerazione. (Massimo Gramellini)

05/05/12




I tre tenori
Grazie a Lusi Casini si è incazzato:
Riformare i partiti è necessario
e l’uso dei quattrin va controllato.
Prepareremo un nuovo abbecedario
con Alfano e Bersani, i miei colleghi!
E tutti in coro: “Immediatamente!
Peccato che il terzetto si rinneghi
poiché, per un bel po’riman silente.
Grazie a Belsito torna il trio faceto:
E’ molto urgente fare questa legge,
tanto urgente da farla per decreto!
Bersani: “Priorità! Saremo schegge!
Casini: “Ok, dalle parole ai fatti!
Angelino: “Sfondate porte aperte!
Darsi da far con i rimedi adatti!
tuonando, Giorgio il bel terzetto avverte.
Poiché il decreto, ahimé, non si può fare,
senza passar dall’aula si proceda.
Soltanto in commission dovrem votare
e in un amen vogliamo che succeda!
Arriva un testo pieno di cazzate
prontamente bocciato dagli esperti,
tutte la norme van riformulate
ed al sentirle molto ti diverti:
A babbo morto arrivano i controlli
e i rimborsi non vengono ridotti“.
Tagliare i fondi? Sono cose folli!“,
affermano le tre bande Bassotti.
Ma ad un tratto Bersani sogna Grillo
e decide di dimezzare i fondi.
Azzeriamoli!“, dice Alfano arzillo
e sembra che Casini lo assecondi.
I segretari fanno i generosi,
ma i tesorieri son senza quattrini.
Passano giorni molto burrascosi
e non decidon nulla gli uni e i trini,
la Santa Trinità che ci dileggia.
A questo punto il tecnico arrivato
dalla Bocconi, lesto come scheggia,
s’inventa un nuovo gioco per Amato:
studiar questa materia assai complessa.
Colui che munge mille euro al giorno
a una nazion a economia depressa
agli anni giovanili fa ritorno,
quando il debito Craxi raddoppiava,
piovevano quattrin su ogni partito,
e in un mar di tangenti si nuotava,
senza che il buon Giulian muovesse un dito.
E così, senza il minimo imbarazzo,
di giorno in giorno tutto si rimanda
e ai tre tenori non importa un cazzo
di una fin che si annuncia miseranda.
Mentre Giorgio continua a far richiami
e Beppe Grillo li sputtana tutti,
noi dovremo votare questi infami
fra lor scegliendo i meno farabutti.

04/05/12

Emergenza nazionale

Prima si impiccavano ai cornicioni delle loro fabbriche e scivolavano nelle pagine di cronaca nera, mentre al telefono il ministro domandava incredulo «sicuro che dietro non ci sia un’altra ragione?». Allora hanno cominciato a darsi fuoco per la strada pur di elemosinare l’attenzione di una politica ripiegata sul proprio grasso e di un governo troppo concentrato sui numeri per riuscire a comprendere le persone. Ma da ieri il dramma «Io non ce la faccio più» esplora un nuovo abisso: l’irruzione di un disperato nell’Agenzia delle Entrate con le armi in pugno. E poi gli ostaggi, le forze speciali: sembra terrorismo, invece è terrore. Il terrore che afferra e confonde un uomo solo, quando non riesce a immaginare per sé altro futuro che un muro nero.

Non si sa cosa debba ancora succedere perché i governanti sollevino la testa dai tabulati di Borsa e prendano atto che esiste un’emergenza umanitaria nazionale. Un terremoto economico e morale che va affrontato con gli strumenti della vera politica: buonsenso e visione del futuro.

Lo Stato ha due mani: una che prende, una che dà. Se ne usa una sola, diventa monco e sono gli Stati monchi a produrre le ingiustizie più efferate. Per un artigiano o un piccolo imprenditore, il funzionario delle tasse che mette le ganasce all’auto e il funzionario del ministero che paga a trecento giorni quando paga, non sono due universi lontani e incomunicabili (come invece essi si considerano), ma due volti della stessa amministrazione. Due nemici che marciano separati per colpire uniti e vanno ad aggiungersi alle banche che non prestano soldi, anzi chiedono a chi è in rosso di rientrare, alle bollette dell’energia più cara d’Europa, ai doppioni e alle doppiezze di una macchina burocratica costruita a strati per agevolare i pedaggi della corruzione, a una giustizia civile dai modi ingiusti e dai tempi incivili.

Ma le ragioni più profonde della disfatta umanitaria in corso non riguardano solo gli imprenditori e non sono neppure economiche. Sono psicologiche. Il senso di umiliazione che prende alla gola chi si vede costretto a ridurre il tenore di vita della propria famiglia. La solitudine di chi non ha più strutture familiari né sociali a cui appoggiare la propria inquietudine. Soprattutto la disperazione cupa di chi non riesce più nemmeno ad alzare la testa perché quando la alza non vede una classe dirigente che indica soluzioni, ma una casta di parolai abbarbicati ai propri privilegi e una processione di sacerdoti del libero mercato che officiano una messa triste, fatta di numeri senz’anima.

Le persone più fragili si disperano fino a impazzire perché il potere non li ascolta e quando parla non usa il linguaggio della speranza ma quello della paura. Risanare l’economia di un cimitero non è una soluzione praticabile. E la legge darwiniana del liberismo non può selezionare i suoi protagonisti sulla base di impazzimenti e suicidi. Tocca alla politica, o a chi ne fa le veci, togliere la buccia ai numeri fino a trovare le persone. Capirle. Rassicurarle. Distinguere fra evasori totali con yacht a carico e poveri cristi che si arrabattano da italiani, non da tedeschi, e per i quali il rigore alla tedesca è una cura che guarisce il male ma uccide il malato. (Massimo Gramellini)

01/05/12

Il tecnico dei tecnici

Per la madre delle imprese impossibili, tagliare gli artigli alla burocrazia pubblica, il governo dei tecnici non era abbastanza tecnico e così ha nominato un tecnico. Il promettente Enrico Bondi di anni 78. Ma la domanda non è se uno che ha risanato la Parmalat dopo il fallimento possa ripetersi con uno Stato che si trova quasi nelle stesse condizioni. La domanda è se lo Stato possa davvero essere trattato come una Parmalat. In realtà neanche le aziende prosperano a colpi di scure. I tagli aiutano a sopravvivere, ma per evolvere servono visioni strategiche, progetti innovativi. Invece questa crisi di sistema ci sta facendo assistere a un progressivo immeschinirsi del dibattito pubblico e persino privato. Ogni argomento di conversazione sembra essersi ridotto a una questione di numeri. I giornali fungono come sempre da specchio; ieri, fra titoli e tabelle, un importante quotidiano ne annoverava 122 (altro numero). Tanti numeri e neppure un’idea su come si esca da questa strettoia della storia.

Nessuno sarà davvero così ingenuo da illudersi che basti scorciare un po’ qui e potare un po’ là perché la pianticella italica ritorni a fiorire. Dimezzare i costi della politica e della burocrazia più pletorica, corrotta e inamovibile d’Europa: ecco due obiettivi seri e perciò irrealizzabili. Ma nemmeno quell’impresa titanica basterebbe a far ripartire una macchina che non si è ingrippata per mancanza di denaro ma di fiducia nel futuro. Ed è la fiducia che porta il denaro, mai viceversa. (Massimo Gramellini)